Rodolfo Di Biasio ha ricevuto per primo il Premio di Poesia “Solstizio” alla Carriera 2015, sezione alla sua prima edizione all’interno del secondo Festival poetico “verso Libero” che si è tenuto a Fondi (Lt) dal 2 al 4 ottobre scorso. Rodolfo ha ricevuto questo riconoscimento dall’associazione “Libero de Libero” con la motivazione che pubblichiamo quest’oggi a cura di Domenico Adriano, poeta che lo conosce molto bene e che ha intitolato questo suo bell’intervento “Le radici ineludibili”. A caldo il poeta di Formia ci ha confessato: “Vi ringrazio perché in vita de Libero avrebbe voluto premiarmi in un importante concorso, ma non ci riuscì. Ora lo fate voi ed è come se lo ricevessi dalle sue mani”.
Le radici ineludibili di Rodolfo Di Biasio: la terra, della quale non ha mai perso il riferimento (è nato nel 1937 a Ventosa, un minuto mosso paeseche guarda il mare dall’alto, e dai piedi dei monti Aurunci), e i suoi studi classici all’Università Federico II di Napoli, proseguiti poi per tutta la vita; che gli hanno permesso di dividersi, di spezzarsi tra la sua attività di professore, di educatore, e quella di scrittore. Un lavoro duro: il cui risultato portano dentro di sé i suoi tanti studenti, e i suoi rari libri di poesia (celeste, quanto più terrestre); e le sue narrazioni, e i suoi saggi.
Dal 1969 al 1982 è stato direttore responsabile delle riviste romane L’ArgineLetterario e Rapporti (nel cui comitato direttivo compaiono Bàrberi Squarotti, Giachery, Manacorda, Mauro), dove ha accolto nomi illustri al fianco di giovani all’esordio. Dal 1978 al 1999 ha collaborato alla RAI con suoi sceneggiati di argomento storico-letterario nelle trasmissioni radiofoniche Il Paginone e Lampi ideate da Giuseppe Neri. Ha scritto per decenni anche su periodici e giornali; per “America Oggi” ancora collabora.
Dal 1962 fino alla sua centrale opera di poesia Patmos (1995) la sua attività poetica è «testimonianza sul tempo che ci è toccato in sorte di vivere e sull’ambivalenza con cui lo viviamo» (parole di Giuliano Manacorda; che più di recente ha voluto scrivere: «Lui ha per suo conto e per sua fortuna la gioia del dire con una poesia che ormai si è fatta fra le più alte dei nostri anni». Niente è mutato, Rebellato, Padova, 1962, è il suo primo libro di poesia. Seguono lePoesie dalla terra(Roma, 1972) in una collana leggendaria di De Luca che si aprì con Stanze della funicolare di Giorgio Caproni e Ascolta la Ciociaria di Libero de Libero;Le sorti tentate, Lacaita, Manduria, 1977; I ritorni, Roma, Stilb, 1986;Patmos, Stamperia dell’Arancio, Grottammare, 1995; Altre contingenze, autoantologia, Caramanica, Marina di Minturno, 1999;Poemetti elementari, Il Labirinto, Roma, 2008 (dove compare il famoso Poemetto dei naufragi e delle rottamazioni, del 2003).
La storia di Rodolfo Di Biasio poeta, la ripercorriamo già attraverso i suoi titoli… Chi volesse ripeterseli, troverà nel tracciato dei titoli che si sono imposti ai suoi libri,intera la visione della sua storia. E incontrerà poidurante l’impervio abbacinato percorso i numi tutelari, chi ha avuto occhi e sentimento per segnalarcelo questo poeta camminante fino allo smarrimento: e qui facciamo davvero pochi nomi, di quelli che furono i primi: Emerico Giachery, Nino Palumbo, Giuseppe Bonaviri, Giuliano Manacorda, Alvaro Valentini, Jolanda Insana, Maria Luisa Spaziani, Fabio Doplicher, Elio Filippo Accrocca, Marcello Carlino, Raffaele Pellecchia, Francesco De Nicola. Ultimo tra i grandi che sapevano di poesia, Giacinto Spagnoletti: che nel 1977 volle scrivere un Intervento per accompagnare Le sorti tentate; e non contento,così aprìil capitolo conclusivo della sua Storia della letteratura italiana del Novecento: «“La poesia scrive riscrive la sua storia”, dice un verso di Rodolfo Di Biasio, nella sua raccolta Le sorti tentate, dove ci si sforza di riguadagnare un patrimonio poetico dissipato da troppe e rischiose vicende letterarie nell’arco dell’ultimo ventennio».
Va poi qui detto il lavoro narrativo di Di Biasio: i racconti Il pacco dall’America, Gremese, Roma, 1977 e La strega di Pasqua, Bastogi, Foggia, 1982;il romanzo I quattro camminanti, Sansoni, Firenze, 1991, per me senza esitazione un capolavoro, che narra la «vicenda corale di quattro fratelli emigranti in America… storie di ordinaria emigrazione che diventano emblemi di una condizione esistenziale» (per Paolo Giordano), attraverso «la destrutturazione del romanzo realistico» (registrò Sebastiano Martelli).
Non è minore il lavoro del saggista: una monografia si dedica a Giuseppe Bonaviri, “Il Castoro”, La Nuova Italia, Firenze, 1978.
E non sono da dimenticare le molte opere pubblicate all’estero. Non sto qui a elencarle, nelle varie lingue: in spagnolo, russo, greco, francese, inglese.Valga per tutte, fondamentale, la traduzione e la curadelle sue poesie in inglese, fatta da Barbara Carle, una poetessa e studiosa di letteratura italiana, che ha vissuto dal Texas e dalla California ogni volta come in sincronoil mondo di Rodolfo Di Biasio e ad esso ha prestato per anni la voce, il suo spirito di poeta. Magistrale, poi, la versione in francese di Patmosdella stessa Carle,trascritta insieme con Michel Sirvent.
E le traduzioni. Emblematica,negli anni della gestazione di Patmos quella del Cantico deiCantici, con le parole di Giuliano Manacorda «in una versione esemplare per fedeltà e modernità».
Ma va fatta qui ragione, infine, della voce critica di un giovane, che porta il nome di Silverio Novelli e scrive sul portale della Treccani, e inserisce parole nuove nei vocabolari. Perché Novelli ha saputo dire meglio di me le radici “ineludibili” di Di Biasio, e io qui dunque me ne devo fare almeno in parte portavoce: «“Possente il tempo”, nel discorso poetico che dall’esordio della raccolta Niente è mutato, Rodolfo Di Biasio ha svolto attraverso un cammino complesso che l’ha portato a far crescere sulle macère della memoria privata (la civiltà rurale e meridionale del paese natìo, lo stravolgimento della guerra, l’esperienza dell’emigrazione negli Stati Uniti, il ritorno) una riflessione sempre più ariosa e distesa, sempre più disancorata dal legame figurale col passato e sciolta dal dettato scarno della sintassi tardo-ermetica, in forme poematiche riecheggianti musicalità e accenti dei classici antichi e moderni, attorno all’io trascendentale che si misura col passo contrastato del cuore, della coscienza, del dire, alle continue prese con le incrinature che la dura mineralità del tempo induce nell’anima errabonda dell’eterno Ulisse, viaggiatore disperso alla ricerca di un senso nell’esserci….
Perché oggi “un tempo d’alghe ci incalza”, un tempo vischioso e mortifero. Tornano ricordi iconografici e letterari di spoglie umane sotto il pelo dell’acqua, avvolte da verdi vegetali spire melliflue, ma con l’eleganza netta del verso il poeta illumina il destino tragico di chi cerca nuova vita tentando di attraversare le sponde del Mediterraneo, trovandovi invece la morte. Come poté succedere, anni e anni prima, agli italiani emigranti, stipati come bestie nelle stive dei bastimenti con la prua volta verso l’America, raccontati da Di Biasio nel suo forte romanzo I quattro camminanti (Stampa d’epoca). Ieri, oggettivato nel romanzo arioso di tessitura epica; oggi, attraverso l’occhio di un io singolo e universale nel Poemetto dei naufragi e delle rottamazioni, viene detta in modi diversi la vicenda, destinata al variato, ripetuto e ripetibile ritorno, degli Ulisse, dei Palinuro e dei dispersi sulla rotta dell’esistenza.
È quanto accade – si legge più oltre – nel centrale Poemetto dell’ulivo, pregno di parole-chiave care a Di Biasio (curvare, notte, radici, albe, tramonti, luce, cielo), che insieme a molte altre hanno disegnato il ciclo ossimorico di tanta fenomenologia naturale presente nella sua poesia più matura, incardinata sulle coppie di (ri)creazione/stagnazione, principio/fine, movimento/stasi e, per analogia nella dimensione umana, vitalità/rassegnazione, attesa/rinuncia, fare/disfare (dire/negare). L’ulivo, simbolo di “saldezza mite”, è insieme memoria archetipica del luogo d’origine infusa nella storia personale del poeta e della sua generazione e, in filigrana, proiezione autobiografica di un io segnato dai nodi del dolore e della saggezza che decide di tramandare sé stesso alla discendenza attraverso il racconto».
*testo di Domenico Adriano
Simone di Biasio
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