Oggi pubblichiamo interamente il testo “Creatura celeste” di Libero de Libero da cui abbiamo preso in prestito un verso per la III edizione del Festival poetico “verso Libero” che si terrà a Fondi dall’1 al 2 ottobre prossimo. Un estratto del poemetto sarà inserito all’interno dell’antologia che raccoglierà i testi degli autori partecipanti alla rassegna: siamo onorati del fatto che la casa editrice “Ghenomena” di Cristina Di Biasio abbia accettato di curarne la pubblicazione, mentre Rocco Alessandro Mattei si è occupato di collezionare le opere e farne un libro – ci auguriamo – “radicale”, ovvero strettamente legato alle radici che tenteremo di portare in superficie.
O mio paese, ritorni con l’alba
odoroso fantasma che m’ascolta
dovunque dico la dolce leggenda,
e sei pure la rondine che a sera
straluna azzurra prima di sparire:
io lucciola vagante nel pensiero
delle tue contrade, te inseguendo
per le stanze calpesto le tue zolle.
Sulle mie spalle come l’agnello
con me ti porto, creatura celeste:
il tuo calore è il mio regno d’inverno,
nel tuo lamento la Pasqua sospira
s’arricciola l’estate nel tuo vello
e si sfoglia settembre nel tuo sguardo,
quant’erba ci carezza nell’ovile
se mi dormi sul petto spensierata.
Viviamo stretti come albero a radice,
la pelle al frutto, le dita alla mano,
un velo d’aria a volte ci divide
che il ragno tesse alle nostre spalle:
nei pleniluni ti vedo svanire
e risorgere antica all’inno del gallo,
chissà dove celata dici la tua ora,
mio è il tuo vanto di grande signora.
Dormiamo avvinti l’amato all’amata,
al carro il cavallo, l’uomo alla pena,
il mendicante all’obolo che l’aiuta.
La parola alle sillabe d’un verso:
confusi gemelli parliamo dormendo
con l’eco vagabonda dei tuoi fiumi,
ci sveglia nella gioia dei tuoi pini
l’odore lucente dei tuoi vini.
La nostra sorte è la separazione,
la fretta dei ritorni è già l’addio,
noi siamo una famiglia vanitosa.
E l’uccelliera soave tu mi fai
Quando me chiami all’aria dei balconi
Con la tua mano che disegna il sole,
tu perduta sorgente che risali
nell’avida vena del mio sangue.
Aspettami, con altri non tradire
Il mio nome, agli altri non dare
Elogio d’amore e il nostro seme,
il festino che sempre mi rammenti.
Sei la cara distanza che sono per te,
l’improvviso giardino d’una sera
il gelsomino che affanna la nottola,
la viola che attende un passeggero.
Che m’importa la tua gloria scritta,
se fai da continente alle stagioni,
la musica volubile dei monti?
Tu scrivi un poema coi tuoi prati,
mandi lettere con fragili sigilli
e il tuo ritratto allo specchio dei laghi,
dei tuoi ruscelli va la diceria
a quei pioppi imbronciati tra gli ulivi.
Che m’importa chi non ti conosce
e ti crede l’istante di un delirio?
Altri tengano isole e castelli,
le millenotti godano sul Nilo
e giorno eterno al mare dei Sargassi
e facciano lode alle circasse,
a me basta l’alba di Montevago
per entrare nella cruna d’un ago.
a me piace la favola dei tuoi bufali
più veloci del vento che li morde,
la casa dell’Olmo museo di spettri,
il Cocuruzzo non detto negli atlanti
da scalare dormendo sul tuo petto:
a me piace il veleggiare dei tuoi monti,
l’anguilla nei fossi, la ragazza
che conta gli aranci come piastre d’oro.
Il mio paesano è un generale casalingo,
conquista gli orti e i pozzi d’acqua,
firma patti ccol cielo e mira ai tordi
per colpire la volpe maliziosa,
per lodare una donna coglie una rosa:
il mio paesano guarda ai monti la sera
prima di chiudere i sogni nella stalla,
prima di fischiare al cane che lo vegli.
Nella Bibbia si parla anche di te
Con le generazioni lunghe dei re
E sono le tue piante insolenti.
Come t’anneri se la luna si gonfia
E t’arrossi coi meli di gennaio,
ti fanno il triduo dodici mesi,
il nostro abbraccio è una scusa puerile
per non sentirci il cuore forestiero.
Ascoltiamoci, paese mio, ascoltiamoci
Questo tumulto di verdi musicali
E il bruciore dell’effimera cicala,
il ronzio e i ricordi e le risse
della nostra gente nottambula,
la vecchia quotidiana che muore,
i ragazzi domenicali dei vespri
e quel canto di grazia funesta.
I tuoi pettegolezzi sublimi,
zampettii di asinelli scontenti,
ascoltiamo bambini andare e venire
sempre in crescita come le stelle.
O tu, racconta le nostre notti
Là dietro quelle mura chicchierine,
svapora l’ombra col suo destino
segreto nei fuochi della luna.
Mercato al Castello, verdemare
D’insalate e mille frutti chiamano,
occhi ombrosi, ginocchia di fanciulle,
scintilla un seno, ha un volto ogni odore.
Noi andiamo per sentieri voluttuosi,
la pianura è una luce a perdifiato,
ogni giorno avventure aromatiche,
un cielo da leggere come un romanzo.
La civetta zitella senza pace
Ai passanti narrare si compiace
Convegni nelle logge clandestine:
stilla rugiada un vecchio in amore,
giuoca un bimbo nel ventre della madre,
nella sua tenebra il morto si sfascia
e all’improvviso lo storico corteo
di nozze fa un bianco funerale.
C’è conclave d’inverno nelle piazze,
c’è il vento cacciatore di palude
più d’un cortile la valle è sonora
e la cinciallegra arpeggia l’aurora,
poi il giorno comincia con la tromba
del solito giudizio universale.
Non c’è modo di farlo cadere
Per vedere com’è fatto il tuo cielo?
Di me ti sussurra una voce dispersa,
un fumo di stoppie, la calce in bollore.
Tu sempre mi cerchi nei tuoi fossati
E l’acqua verde non fa ritratto,
in quale specchio mi potrai ritrovare
se nel bacile di casa mi sono lavato?
Solo tirando dai tuoi pozzi il secchio
Potrai rivedere l’immagine mia.
Paese mio, volto di mio padre,
fatto zolla alla tua radice d’amore.
Ti vidi a solleone quel mattino
Con serpe raminga e cavalla vogliosa,
vidi la nera colomba, passò il nitrito
nell’aria con un rintocco focoso,
un fischio di pastore e la capra sgomenta
andarono a lungo per campi fumanti.
O via Appia, passeggera intrigante
Alla porta di casa e fuggitiva,
per un lampo accendi continui volti
cari alla morte che ruba alla vita
e lasciano polvere alle mie finestre:
o sorte perigliosa alla curva
d’un tranello, perenne urlo e maligno
della belva che fai, Appia via.
O mia pianura che scorri melodiosa
Nella tua notte colore d’uliva,
nel mio giorno celeste creatura:
non mi lasciare, stringiti a me,
nessuno ascolti il battito del sangue
che galoppa con te, puledra mia,
e dolente il mio sguardo trovi l’eco
nella tortora che sei, paese mio.
[Libero de Libero, Creatura Celeste, in “Scempio e lusinga”, Mondadori, 1972]
Per l’occasione abbiamo realizzato insieme al marchio “Bellavitastyle” una maglietta in edizione limitata che è possibile acquistare per sostenere le iniziative dell’associazione “Libero de Libero” e in particolare questa III edizione del Festival “verso Libero”. Potete richiedercela inviando una mail a [email protected], oppure acquistarla all’evento del 16 settembre, o ancora direttamente nel corso del Festival.

Simone di Biasio

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