Quando si accosta la poesia al Festival di Sanremo, o la poesia alla televisione in genere viene sempre un prurito. Potrebbe essere verso la testa, in senso interrogativo/riflessivo, o verso altre zone corporee in un senso più intrinsecamente dispregiativo. Come quando ad occhi chiusi davanti a un fuoco d’istinto allunghi una mano, per sentirne il calore col rischio di una bella bruciatura. Però apriamoli gli occhi, oltre alle orecchie in questo Sanremo 2015. E tentiamo di allungare le mani senza apparire schizzinosi. Ieri, alla serata di apertura della 65° edizione, un italiano su due si è sintonizzato sulle note festivaliere (intese anche come vallette).
Tra i primi dieci brani ascoltati in gara sicuramente calamita l’attenzione “Io sono una finestra”, interpretato da Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi (in arte Platinette) con un tappeto d’impronta jazz. Il testo è scritto da Raffaele Petrangeli, orvietano, ed ha già vinto il Premio Lunezia come miglior testo del Festival. Ecco un estratto in cui “corriva” e “lasciva” non sono errori automatici da T9 o incursioni siculo dialettali:
Io sono una finestra velata di vapore (…)
Eppure si riflette un’ombra che è la mia
Un’ombra di rossetto contro l’ipocrisia
Io non so mai chi sono eppure sono io
Anche se oltre il vetro per me
Non c’è mai un Dio
Ma questo qui è il mio corpo benché cangiante e strano
Di donna dentro un uomo eppure essere umano
Sfogliando le parole di questa età corriva
Divento moralismo e fantasia lasciva
Crisalide perenne costretta in mezzo al guado
Mi specchio alla finestra e sono mio malgrado
Io non so mai chi sono io per la gente
Coscienza iconoclasta volgare e irriverente
Ma questo è solo un corpo il riflesso grossolano
Di donna o forse uomo comunque essere umano
Io non so mai chi sono eppure sono e vivo
Più del pregiudizio che scortica cattivo
Ma quando spio il mio corpo che si riflette piano
Non c’è una donna o un uomo, solo un essere umano
Il secondo testo che potrebbe (condizionale d’obbligo) aver portato poesia al Festivàl è “Buona fortuna amore”, di Nesli e Orazio Grillo, in arte Brando, che tra l’altro è il produttore dell’album “Schiena” di Emma Marrone e di altri dischi di grande successo negli ultimi anni. Nesli è il fratello del rapper Fabri Fibra, cosiddetti “poeti punk”, ma di un rap pop che s’intenerisce e grida di meno, anche se “si slaccia”. Un estratto del testo:
Dammi tutto adesso
Tutto quello che hai
Dammi l’odore addosso
Se no mi perderai
Della tua pelle in fiamme
Dammi l’amore in faccia
E i morsi sulla carne
La vita che si slaccia
E si slaccia
Ti hanno insegnato i tuoi
Che il mondo è in una mano
Le righe sulla pelle
Da dove proveniamo
E se lassù un angolo di cielo
Ci appartiene
Vale la pena in questo posto seminare il bene
E come viene
Buona fortuna vita
Buona fortuna amore
Poca cosa, si dirà. Rime molto facili, vero. Eppure qualcosa si può salvare. “Sfogliando le parole di questa età corriva/ Divento moralismo e fantasia lasciva” e “Io non so mai chi sono eppure sono e vivo” sono tra i versi (se così possiamo azzardarci a chiamarli) più significativi del testo di Petrangeli. Venendo a Nesli, invece, spiccano: “Dammi l’amore in faccia/ E i morsi sulla carne/ La vita che si slaccia/ Ti hanno insegnato i tuoi/ Che il mondo è in una mano/ Le righe sulla pelle/ Da dove proveniamo/ E se lassù un angolo di cielo/ Ci appartiene/ Vale la pena in questo posto seminare il bene”. Nessun nuovo Lucio Dalla – pare – nessun nuovo Pino Daniele (ci vorrà molto tempo), ma sono piuttosto certo che qualcuno li userà ad apertura di qualche libro di poesia come ricordo Davide Rondoni fece ne “Il bar del tempo” (Guanda) con “Voglio una vita esagerata” di Vasco. La paoesia non ha paura a sporcarsi le mani nemmeno con Sanremo: sa benissimo come scrollarsi di dosso il fango. E non solo il fango, da millenni. Buona seconda serata del Festival Canzoniere italiano.
Simone di Biasio
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