Il quarto incontro de L’albero della poesia al Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci” di Terracina ha ospitato Adelelmo Ruggieri. Dietro la cattedra delle presentazioni, oltre all’autore, abbiamo avuto i ragazzi con i propri fogli di carta pieni di appunti, le professoresse con i loro apparati critici e il poeta Rodolfo Di Biasio con in mente le amicizie in comune con Ruggieri. Ed è stato proprio quest’ultimo a farci notare una caratteristica importante del poeta marchigiano: la sua è scrittura della fissità, anzi più esattamente Rodolfo l’ha definita “poesia oggettuale”.
Come in un quadro di Hopper, le sue poesie descrivono un frammento immobile all’interno del fluire degli eventi della vita. Le sue poesie sono come un punto su una retta infinita, un fotogramma di un cartone animato; o, usando una sua immagine, un momento in una fila di candele: dietro quelle spente, davanti quelle accese.
Gli sono davanti come una fila di candele ardenti
Indietro sta la riga oscura delle candele spente
Non le vuole vedere quelle morte
Non si volta neanche, per non rabbrividire
L’impressione che si ha nella lettura del libro è che il tempo sia un’ossessione: il bisogno della fissità, attraverso fotografie letterarie, è un modo di contrastare il tempo. Gli antichi greci, infatti, concepivano il tempo i due tipologie: Kronos e Aion. Il primo era la scomparsa di ogni istante attraverso la divisione di un momento in due processi: ogni istante è scomponibile in ciò che è appena passato e ciò che accadrà nel futuro. L’Aion, invece, è la fissità presente e continua: è l’iterazione di un attimo che si vive in eterno istante. E questa continuità del presente si addice bene alle immagini della poesia di Ruggieri:
Dèluges
Che volume possiede questa goccia? Vai a saperlo
e allora farò così stanotte: prenderò un bicchiere
e conto il numero di gocce che ci vuole a colmarsi
In un’ora ci scommetto è quasi fatta, in un giorno
una bottiglia già vuota da un litro si empie di gocce
L’impensabile è così, con il tempo diviene fondato
Per non dire del suono che questa goccia fa, non c’è
modo di ritirarlo in qualcosa. Il suono non ha peso
non ha ingombro, non è astruso. Per non dire del
perché e per come questa goccia cade e io anche
cadrò: basterebbe smontare il rubinetto, metterlo
nuovo ed è fatta: niente goccia nessun suono solo acqua
Questa è la ripetizione di un’azione che sembra minima, ma che, se iterata nel tempo, sembra ben descrivere l’azione di ogni intellettuale o artista: ogni giorno cerca di convincersi che il suo lavoro sembra fatto di niente; ma invece riempie di significati gli oggetti che ci circondano.
Infine la luce, come un’illuminazione. Durante la conversazione è stata citata la seguente frase di Panofsky: “Lo spazio non è altro che la luce più sottile”. Questa frase non è stata compresa dall’autore e dal pubblico, compreso me. Poi riflettendoci ho dato questa mia interpretazione.
Siete mai entrati in una camera monocromatica? Ogni cosa (quadri, sedie, tavolo, pareti, pavimento) ha lo stesso colore, mettiamo giallo canarino. Appena si entra, si ha un effetto straniante in quanto non si percepisce la distanza tra le cose, ovvero lo spazio: i colori, infatti, generano profondità, specialmente in un quadro. Aggiungiamo poi che noi percepiamo i colori che vengono respinti dall’oggetto, mentre tutti gli altri sono assorbiti. Siamo portati a percepire, quindi, una minima parte della luce (quella respinta, la quale è minore dell’intera): potremmo allora dire che la luce, che genera lo spazio, è quella più sottile.

Elvio Ceci

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