Pubblichiamo un racconto inedito del poeta e artista ciociaro Sergio Zuccaro che ha conosciuto de Libero e ne ha condiviso gli ultimi anni di vita. Quello che segue è un aneddoto squisito che ci rivela molto della personalità deliberiana. Ringraziamo Zuccaro infinitamente per il dono.
Ho conosciuto Libero De Libero nella metà degli anni Settanta a Patrica. Dagli amici si faceva chiamare Mario. Il suo nome gli pareva troppo letterario e troppo ingombrante per la complicità di un convivio, il poeta cercava di sparire dietro un’onomastica più frequentabile.
Al primo incontro, ancor prima del nome, mi disse che il suo rammarico più grande era quello che nessun giovane lo fermasse più per strada e gli chiedesse: parliamo.
Lo presi come un testamento, un lascito ereditario.
Capii subito che dietro quello sguardo miope c’era un ragazzo, un mio coetaneo.
Dall’alto della piazzetta di Patrica vedevamo la valle del Sacco attraversata dalla ferrovia e dall’autostrada. Mi spiegò il tranello in cui cadevano molti osservatori, pensando di vivere quella vita che passava sotto i loro sguardi, senza sapere che stavano abdicando alla propria.
Qualche tempo dopo mi consigliò di leggere l’Urlo di Allen Ginsberg. Lo trovai nell’edizione degli Oscar Mondadori, “Jukebox all’idrogeno”, fu una folgorazione.
Mario si trasferiva a Patrica d’estate nella casa dove aveva vissuto da ragazzo con il padre, venuto da Fondi per fare il segretario comunale.
Ci incontravamo spesso a Supino, in casa dell’amico musicista Giuseppe Agostini. La prima volta chiese al suo accompagnatore di parcheggiare la macchina fuori dall’ingresso e volle salire il viale a piedi. Pensammo a Federico II che si spostava lasciando il dorso dei cavalli al suo seguito. Un imperatore si muove sulle sue gambe e non sul basto di un quadrupede o sui sedili in similpelle di una vecchia Ford.
Entrati in casa restammo in piedi davanti al camino. Peppe arrivò con un fascio di rami d’alloro tra le braccia e li gettò tra le fiamme. L’olio essenziale contenuto nelle foglie crepitò improvviso come una batteria di fuochi d’artificio. “Applausi per Libero De Libero” gridò, e Mario scoppiò a piangere. Ci disse che neanche Mondadori aveva fatto tanto per lui.
Qualche giorno dopo tornò con questa poesia che aveva scritto per noi:
Tarantella per Supino
Supino Supino aprimi la porta
c’è una ragazza che mi morde il cuore
e rubo le penne al suo guanciale
Supino Supino mettiti a correre
per quel ricciaro di stelle a tarantella
appendo la bandiera della luna
all’alba riderella dei castani
mi chiama la tua voce mi chiama
col fazzoletto ricamato da un pulcino
l’oboe non se ne andrà dei tuoi canti
nel concerto degli occhi ballerini
amici amici degli inchiostri e del tuo vino
sono la tua colomba pellegrina
nelle tue braccia l’edera è già nata.
Stampammo i versi su piccoli fogli. Il mio porta in calce la dedica a mia figlia:
a Beatrice, con gli auguri di Mario e la simpatia di libero de libero, proprio così, Mario con la M maiuscola e libero de libero tutto minuscolo.
Era l’11 agosto del 1979.
Sergio Zuccaro
Sergio Zuccaro
Lido di Roma, 21 maggio 2015

Simone di Biasio

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