Lorenzo Babini ha 26 anni. È di Ravenna, ma ha studiato a Milano, dove vive e lavora. Si applica in un campo che non è esattamente il suo, ma forse è quello (che ci è dato) di questo tempo: il marketing. Ha un sorriso romagnolissimo come la “zeta” di “Lorenso”, e prima di leggere i suoi versi ha quasi chiesto scusa al pubblico per avere scritto la parola “gabbiano” in una poesia. Fatichiamo a capire come faccia a tenere tra le mani la “pesante” scultura del Premio di poesia “Solstizio” 2016 all’opera prima, tanto è esile e mostrante qualche anno meno della sua età: forse per questo ha inserito un verso di un bambino nel suo libro “Santa ricchezza” (CartaCanta, 2016): “Ho visto un castello medievale/ e la mia anima era giovane”. Sembra aver toccato le ossa di Dante, sfiorato la loro lucida vecchiezza, quelle che il padre francescano Antonio Santi conservò in una cassetta di legno fino al 1865: “Dantis Ossa” è una sezione del suo bel libro di esordio che ha trionfato lo scorso 2 ottobre a Fondi alla presenza di Davide Rondoni, uno dei membri della giuria del Premio “Solstizio”.
Pubblichiamo oggi una nota che Milo De Angelis, altro giurato del Premio insieme a Claudio Damiani e a Clery Celeste (vincitrice lo scorso anno), ha inviato all’associazione “Libero de Libero” per complimentarsi col lavoro poetico del giovane ravennate:
“Le creature di Lorenzo Babini sono percorse dall’inquietudine, un’inquietudine che le accompagna per le strade della città, nei cinema o nei bar, le spinge a interrogarsi e a cercarsi l’un l’altra, a chiamarsi per nome. Assistiamo a un continuo a tu per tu, un discorso diretto che è la caratteristica di questa poesia: l’altro è continuamente invocato e convocato nella sua presenza fisica e spirituale, è sentito come il luogo che può dare un senso a quell’inquietudine originaria. Con i suoi versi profondi e carichi di segrete risonanze, Lorenzo Babini ci conduce passo dopo passo in una città notturna, tra lattine di coca-cola, ipermercati e visioni celesti e ci mostra le forze oscure che ne percorrono i sotterranei. E’ una città carica di tensioni e paure ma anche di incanti, dove si ha sempre l’impressione che, svoltato l’angolo, possiamo imbatterci nell’apparizione o nel miracolo, in qualcosa di sconosciuto, terribile, meraviglioso, che è poi in questo libro il senso stesso dell’incontro, il momento cruciale della scoperta di sé e del mondo”.
Pubblichiamo una poesia di Babini contenuta nella antologia “Radici” edita da Ghenomena in occasione della III edizione del Festival “verso Libero”:
Non andartene, ti trattengo
nell’attimo in cui lo specchio si deforma
e l’acqua nella vasca sembra scura.
Non andartene, ti trattengo
nella camera dove si rivela
nel suo splendore
l’orrore infinito di essere giovani
strappandosi la morte di dosso
come un brutto vestito.
Tu guardati, si estende
dappertutto l’oscurità dei capelli, divora
il tuo viso, tutto il corpo, è il segno
del disastro che ti tiene e non ti lascia,
oscura gli occhi e le membra,
messaggere di grazia.
Squilla il telefono
e in questa veglia, nella vigilia
fragorosa che ti consegna alla tenebra,
non andartene, ti trattengo
perché tu non sia solo la tua morte
ma la bellezza della vita che combatte,
chiede spazio, invoca respiro e perdono
la tua bellezza di bambina, e dice,
per una volta dice: accettami,
accetta queste trasformazioni
che scolorano e fanno piangere. Accetta questo, di noi,
l’azzurro dei polsi, le nostre mani,
i nostri corpi esposti, rivisitati.
Secondo classificato del Premio di poesia “Solstizio” all’opera prima è Pietro Federico, che ha partecipato con entusiasmo ad entrambe le giornate del Festival di Fondi e che nel corso della cerimonia di premiazione ha emozionato il pubblico leggendo versi dedicati alla sua piccola figlia (e che, probabilmente sentendosi nominare, si è avvicinata più volte al palcoscenico). Pietro è autore di “Mare aperto”, un libro edito da Nino Aragno di Torino nel 2015 che accoglie anche testi in lingua inglese, frutto di un lungo periodo di studio ad Oxford. Qui un suo testo, anch’esso presente nell’antologia del Festival:
Non è che cambino le cose.
L’oro del grano si fa alto
e le donne si curvano come rose
sui bambini o appassiscono nel tempo immobili
come occhi di bue su di un palco deserto.
Fasci di luce e di pulviscolo
prima dell’applauso o del fallimento.
Scavalco i giocattoli
ed esco in veranda dove gli alberi
sono i pinnacoli
su cui avviene l’avvento del falco.
Sulla pianura è il silenzio dei passeri.
Cullo mia figlia un po’ più piano.
Mi respira tra le braccia
e in lei mi sopravanzano i secoli
come il Tirreno che si slaccia nell’oceano
come il profumo di bruciato
dei comignoli o di mare sui pontili,
il silenzio tabernacolo dei morti,
il silenzio del braccato e dello stanco
di scappare che si volta
verso il falco, il silenzio
che ora ho abbracciato.
Terzo classificato del Premio di poesia “Solstizio” all’opera prima è Luca Lanfredi, autore de “Il tempo che si forma” pubblicato dall’editore “L’arcolaio” che purtroppo non ha preso parte alla cerimonia di premiazione per motivi di lavoro. Ci è dispiaciuto non poterlo accogliere e conoscere, ma ancor di più non poter conferire il Premio così come stabilito dal bando di concorso. Ad ogni modo ci auguriamo di averlo alla IV edizione del Festival, frattanto pubblichiamo con piacere un suo testo, concessoci sempre per il libriccino antologico edito da “Ghenomena”:
Mi piacciono le iniziali minuscole del nome,
sfrangiare i libri dal ripiano: il balenìo del primo,
senza che gli altri franino, e dopo
lo slabbrato sentimento dell’istante,
il parlare in sottrazione, l’afferrare
le chiacchierate frantumate
dei passanti.
«Che cosa faremo, quando non saremo?»
A loro e a tutti i finalisti del Premio di poesia “Solstizio” vanno i migliori auguri dell’associazione “Libero de Libero” per questo importante esordio. Cui seguiranno, ne siamo certi, nuovi lucenti lavori poetici da far maturare.

Simone di Biasio

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