Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d’un dado.
(V. Bodini)
Il tema della III edizione del Festival poetico “verso Libero” che si terrà a Fondi dal 1° al 2 ottobre 2016 è ispirato a questo verso deliberiano: “viviamo stretti come albero a radice”. È un passo di “Creatura celeste”, una delle odi più belle che Libero de Libero inserì nei “Cantari di Ciociaria” per cantare – appunto – la sua terra natìa. Per consegnare il Premio di Poesia “Solstizio” alla Carriera c’era bisogno, dunque, di un uomo che non fosse “soltanto” un poeta, ma un poeta radicale, un uomo radicato a tal punto da farsi universale come un ulivo. E forse nessuno meglio di Lino Angiuli in questo momento in Italia incarna quella sperimentazione poetica che non ha ceduto il passo al conformismo, allo stereotipo, conservando invece un linguaggio e un verso del tutto personali e riconoscibilissimi. Sveliamo così oggi il nome di questo importante protagonista del Festival “verso Libero”.
Dopo il conferimento del riconoscimento a Rodolfo Di Biasio nella passata edizione, quest’anno sarà lui stesso a cedere il testimone a Lino Angiuli, un grandissimo cantore del sud (“voce del verbo sudare”, come lui stesso scrive) in una serata che lega de Libero a Di Biasio, Di Biasio ad Angiuli, ed anche Angiuli a Parisi. Perché il 1° ottobre 2016, giorno di apertura del Festival “verso Libero”, dalle 18 ci sarà spazio per assaporare un de Libero inedito con Lorenzo Cantatore, curatore del diario “Borrador”, che ci svelerà passi inediti dalla seconda parte, e con Marcello Carlino, il quale invece ci parlerà di un’opera teatrale deliberiana appena riportata alla luce dai membri dell’associazione “de Libero”: il “Don Giovanni (o il burlatore di se stesso)”.
La serata del 1° ottobre inizierà alle 20.30 con una performance teatral-poetica proprio sull’opera di Rodolfo Di Biasio, dal titolo “Viaggio alla nuova città”: stanno lavorando al progetto il regista Antonio Fasolo, gli attori Daniele Campanari e Serina Stamegna, la pittrice-performer Stefania Romagna e il musicista Antonio Zitarelli. A seguire la consegna del Premio alla Carriera a Lino Angiuli, 70 anni appena compiuti, poeta, novelliere, critico e codirettore dal 2000 del semestrale “Incroci”. Angiuli è persona fortemente empatica e simpatica, eccelso narratore (è anche autore di libri sui racconti popolari) e il suo essere terragno, radicato in Terra di Bari o forse più giustamente in un Sud italiano che è vastissimo, si lega anche ad Antonio Parisi (il primo “aggancio” è avvenuto online, come testimonia questo articolo), il cui “Canzoniere fondano” sarà ricordato dai soci dell’associazione de Libero nell’ultima parte della serata di sabato, grazie alla partecipazione dell’amico fraterno Gaetano Carnevale. Parisi è venuto a mancare un anno fa, ma la sua opera resta immortale, specchio di una società forse persino immutabile.
Tornando a Lino Angiuli, classe 1946, è nato e vive in Terra di Bari, dove ha diretto un Centro Regionale di servizi culturali. Collaboratore dei Servizi culturali della Rai e di quotidiani, ha fondato alcune riviste letterarie, tra le quali il semestrale «incroci», che dirige con Raffaele Nigro e Daniele Maria Pegorari per l’editore Adda di Bari. Ha pubblicato dodici raccolte poetiche in lingua italiana e dialettale; tra le ultime: “Daddò dadda” (Marsilio), “Catechismo” (Manni), “Un giorno l’altro” (Aragno), “Viva Babylonia” (Lietocolle), “L’appello della mano” e “Ovvero” (Aragno). La sua produzione, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti e traduzioni, è considerata nell’ambito di manuali scolatici ed enciclopedie. Molte le pubblicazioni sul versante della cultura tradizionale. Recentemente, per “La Vita Felice” di Milano, ha realizzato tre antologie della poesia europea.
Scrive Gabrio Vitali come postfazione al libro “Un giorno l’altro” (Aragno, 2005): “È, quello che si libera nella parola di Angiuli, un mondo di immagini, voci, di gesti e di appartenenze legati tutti a una campagna rassicurante e sempre ritrovata come antidoto ai miasmi del vivere; un mondo che può essere attraversato con serenità, con ironia e qualche volta persino concedendosi allo stupore”.
Mentre è lo stesso Angiuli ad affermare lucidamente: “Da parecchio tempo, soprattutto nel Meridione (dove è ancora attivo un cospicuo strato di cultura tradizionale) si assiste a una pratica culturale che somiglia tanto alla elaborazione di un lutto. Ri-cerche, ri-letture, ri-visitazioni, re-stauri, re-cuperi, ri-valutazioni, ri-scoperte… e così via: è questo il vocabolario in gran parte usato per chiamare una serie infinita di operazioni, anche editoriali, con cui si cerca di diluire il senso di perdita di un orizzonte culturale ancora capace di parlare nonostante sia stato tacitato dal frastuono della modernità. (…). Tante altre alterità, a cominciare dalla propria, (…) aspettano di essere prima di tutto ascoltate e poi incontrate in quel luogo assai speciale che è la lingua”.
Il Premio alla Carriera che l’associazione de Libero conferirà ad Angiuli non vuole essere una ri-valutazione della sua opera, piuttosto un ponte tra chi, come lui e Di Biasio, può farsi maestro e guida nei confronti dei più giovani, i quali saranno difatti protagonisti della sezione opera prima del Premio “Solstizio” nella giornata successiva del 2 ottobre.
Riportiamo qui un testo con cui Angiuli si presenta benissimo nel libro “Daddò daddà” (Marsilio, 2000), e che è presente anche nell’antologia in stampa per le edizioni “Ghenomena”.
*
So nate jind’alla terre de le pete
So nate jind’alla terre de le pete / na debolezze alla recchie /
e nu defette o pete / attaneme e mamme ièrne de fore / cambavene
de fatì e non de solde / e cchiù de na volde me pertavene che
lore / fu probbie dà / fore / ca me mbarabbe a ièsse chiande /
vediebbe u sole mienze diàue /e mienze sande /fu dà ca senza
libbre né quaderne /acchiabbe d’anande mmenze o luoche /
niendemène u padreterne / vestute verde ad arue de uì / a disce ce
si tu e ce so ji.
Da chedda di / scappanne l’erve assaprabbe u sedore /
grazzie a na vrespe assaggiabbe u delore / e sotte a n’arue de
vremecocche / me sciebbe a cocche la prima volde / che nu
penziere de seta sckaccuàte / pegghiabbe na corrende acchessì
forte / nu miscke de iuste e de paiure / ca s’à va sta che mè
fingh’alla morte / acquanne egghia speccià de disce ji / ji daddò e
ji daddà.
Ma / da chedda di a memorie / la sacce la lezzione / e pozze
pure scrive sta canzone / macare che la penne de la prima
chemenione / u pennine tutte d’ore: / «fore se nasce fore se more».
[SON NATO NELLA TERRA DELLE PIETRE. Sono nato nella terra delle pietre / una debolezza
all’orecchio / e un difetto del piede / mio padre e mia madre erano di campagna /
campavano di fatica non di soldi / e più d’una volta mi portavano con loro / fu proprio
là / in campagna / che imparai ad essere pianta / vidi il sole mezzo diavolo / e mezzo
santo / fu là che senza libro né quaderno / trovai davanti in mezzo al fondo / nientemeno
il padreterno / vestito verde da ulivo / a dire chi sei tu e chi sono io. // Da quel giorno /
strappando l’erba assaporai il sudore / grazie ad una vespa assaggiai il dolore / e sotto un
albicocco / andai a coricarmi la prima volta / con un pensiero di melagrana socchiusa /
presi una corrente così forte / un misto di gusto e di paura / che resterà con me fino alla
morte / quando la spiccerò di dire io / io di qua e io di là. // Ma / da quel giorno a
memoria / so la lezione / e posso pure scrivere questa canzone / magari con la penna della
prima comunione / il pennino tutto d’oro: / «in campagna si nasce in campagna si
muore». ]

Simone di Biasio

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