Dal 2 al 5 Aprile Terracina è stata teatro di una collettiva di pittura presso la Sala Appio Monti: la mostra è stata organizzata dalle associazioni “Nonsense” e “Il Club dei Poeti Erranti”, con il titolo/hashtag #finchevitanonvisepari. Sono stato invitato a leggere una selezione di poesie il cui tema era la relazione di coppia. Mentre eravamo abbracciati dai quadri e dalle opere che descrivevano le diverse tipologie di relazioni amorose, mi chiamano: apro il “Meridiano” di Baudelaire e inizio a leggere questo testo:
A UNE PASSANTE
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse,
Une femme passa, d’une main fastueuse
Soulevant, balançant le feston et l’ourlet;
Agile et noble, avec sa jambe de statue.
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son œil, ciel livide où germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Un éclair… puis la nuit! – Fugitive beauté
Dont le regard m’a fait soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que dans l’éternité?
Ailleurs, bien loin d’ici! trop tard! jamais peut-être!
Car j’ignore où tu fuis. Tu ne sais où je vais,
Ô toi que j’eusse aimée, ô toi qui le savais!
Appena concluso un ragazzo seduto nel pubblico mi dice di essere professore di letteratura francese e di aver scritto una riflessione proprio su questa poesia. Dopo dieci minuti mi porta l’articolo che trovate a questo link: www.uniroma2.it/didattica/linfra_ls_b/deposito/Lettura_di_A_une_passante.pdf. È veramente una bella analisi quella del prof. Luca Bevilacqua, in cui scompone lentamente l’opera e dimostra l’intenzione del poeta: egli gioca con il topos letterario della mancanza dell’amore, delle scelte sbagliate e tutta la nostalgia che questo comporta. Forse, afferma l’autore, l’episodio non è mai esistito.
Il professore ha ragione: sicuramente questa corrisponde all’interpretazione autentica della poesia. “O questa è una poesia su un incontro mancato – scrive Bevilacqua -, come tanti altri possono capitare; oppure il tema è – come noi riteniamo – quello dell’incontro decisivo: dell’occasione unica, irripetibile, e nondimeno perduta”. Ma, leggendola e rileggendola, sento dentro un’interpretazione personale che potrebbe aggiungere alla poesia un significato del tutto contemporaneo dell’amore verso una passante.
Prendiamola alla lontana. È sempre più facile muoversi: in due ore possiamo spostarci in aereo e arrivare a Ginevra, Salerno o Londra. Sempre più frequentemente ci sentiamo dire che siamo cittadini del mondo. Ma lo siamo? Possiamo veramente considerare le altre città, le altre culture, distanti come un quartiere lontano da raggiungere? Credo di si. E credo anche che esiste un secondo movimento: il mondo è arrivato da noi, dentro le nostre case e sulle ginocchia delle nostre gambe mentre chattiamo con il cellulare o con il pc.
Questo ci ha portato a conoscere e tenere contatti con miliardi di persone, continuamente. Ad avere relazioni continuamente con gente totalmente differente, ma che magari condivide i nostri stessi interessi. Come si è evoluto il concetto di coppia, dopo tutti questi contatti? E qui può aiutare la poesia di Baudelaire. L’amore, infatti, può essere inteso come sentimento donato unicamente a una persone che passa, anche solo per un breve periodo, nella nostra quotidianità, grazie a questo mondo interconnesso; una persona che entra solo per pochi giorni, in cui regali tutto quello che sei. Con lei sperimenti come può essere, come sarebbe potuto essere e, chissà, come sarà. Ogni coppia temporanea è una possibilità di vita, un’esistenza conquistata e poi abbandonata. Un atto di passione e di attaccamento a questa vita che sempre sempre più pare distrarci e fuggire. Non parlo del consumismo dell’amore, delle relazioni; parlo di un sentimento reale, di scoperta, in cui ogni passante è una coppia reale possibile, nella sua unicità, nella sua labilità.
A UNA PASSANTE
Ero per strada, in mezzo al suo clamore.
Esile e alta, in lutto, maestà di dolore,
una donna è passata. Con un gesto sovrano
l’orlo della sua veste sollevò con la mano.
Era agile e fiera, le sue gambe eran quelle
d’una scultura antica. Ossesso, istupidito,
bevevo nei suoi occhi vividi di tempesta
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.
Un lampo…e poi il buio!- Bellezza fuggitiva
che con un solo sguardo m’hai chiamato da morte,
non ti vedrò più dunque che al di là della vita,
che altrove, là, lontano – e tardi, forse mai?
Tu ignori dove vado, io dove sei sparita;
so che t’avrei amata, e so che tu lo sai!
Elvio Ceci
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